Non basta creare i reati e punirli, è importante anche cercare di prevenirli. È questo ciò che afferma l’avvocato Giulia Bongiorno, fondatrice, con Michelle Hunziker, dell’associazione Doppia Difesa contro la violenza sulle donne, dopo che lei stessa è stata vittima di stalking.
La figura di reato di “atti persecutori”, introdotta con la legge del 2009, è stata strutturata per perseguire qualsiasi forma di molestia, ovunque si realizzi. Accade molto spesso che questo reato si configuri in ambienti di lavoro sfociando, il più delle volte, in mobbing.
Parlando di stalking lavorativo in azienda, Alessandra Menelao, psicologa del lavoro, responsabile nazionale per mobbing e stalking del sindacato Uil (Unione italiana del lavoro), traccia quella linea sottile, e spesso varcata, tra stalking e mobbing e spiega: “Quando si teme per la propria incolumità si è di fronte allo stalking, che nasce da un serio disturbo psicopatologico, dalla non accettazione: di un rifiuto, di un successo altrui… Nel secondo caso, invece, si tratta di una pratica che può sì sfociare in comportamenti persecutori forti, manipolativi, per cacciare qualcuno dal posto di lavoro, ma dettati più che altro da ragioni di carattere interpersonale e organizzativo; in questo caso, la vittima può soffrire di disturbi post-traumatici e depressivi, ma non teme per la propria vita”.
Sicuramente teme per la propria vita Michela, nome di fantasia per mantenere l’anonimato, di una quarantenne straniera, ma cittadina italiana, che si è vista, nel giro di pochi mesi, costretta ad abbandonare il lavoro in quanto vittima di atti persecutori da parte della sua collega, con cui aveva messo su una società di sevizi.
Da vent’anni in Italia, separata e madre di due figli adolescenti, Michela racconta il suo calvario da quando era tutto rose e fiori a quando ha subito un demansionamento ed una brusca riduzione dello stipendio, cosa che ha segnato profondamente la sua vita, portandola a chiedere prestiti a familiari ed amici per mantenere i figli e pagare il mutuo da 600 euro mensili.
Parla di come è stata costretta a fare cose che esulavano dalle sue mansioni da impiegata, di come, dopo il suo rifiuto a subire questi abusi, abbia trovato chiuso il suo ufficio, con la serratura della porta cambiata. Era praticamente stata licenziata. Riammessa al lavoro dal giudice, è stata poi mandata a fare lavori manuali, che esulavano dalla sua funzione impiegatizia, fino al giorno in cui sono dovuti intervenire i carabinieri per sedare una lite che ha visto la stessa Michela finire all’ospedale con una prognosi di 15 giorni, aggredita dalle sue colleghe.
Poi è subentrata la malattia, la depressione, fino alla perdita totale del lavoro e, nonostante il giudice abbia imposto alla controparte di versare gli stipendi che le spettano, questa si è rifiutata, dando inizio ad una trafila giudiziaria senza fine. “La giustizia – afferma – non segue i tempi del pagamento delle bollette, nonostante mi dia ragione”.
Questo è solo uno dei tanti casi che accadono ogni giorno e, come si può notare, non riguarda solo il rapporto tra uomini e donne, ma anche tra persone dello stesso sesso, che spesso incappano in questo problema per gelosie e invidie. Per difendersi, secondo l’avvocato Bongiorno, è necessario prima di tutto riconoscere e prendere atto del problema e denunciare, dopo aver raccolto prove ed elementi a proprio favore, magari con l’utilizzo di microspie e microregistratori, che permettono di ascoltare a distanza e registrare quello che accade nell’ambiente di lavoro.