Mobbing e suicidi, una pericolosa relazione causa effetto.

Mobbing e suicidi, una pericolosa relazione causa effetto.

“Nascondere sotto il tappeto questo grave problema senza avvertire l’urgenza di interrogarsi sulle cause significa accettare irresponsabilmente l’idea che tutto ciò sia inevitabile o che avvenga per cause imputabili solo alle vittime. Auspico l’apertura di una commissione parlamentare di inchiesta che faccia piena luce sulle cause scatenanti di questi suicidi e che faccia tesoro degli studi scientifici finora intrapresi sul fenomeno del “burn-out”. Secondo la più accreditata cultura scientifica infatti, il burn-out è l’esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che esercitano professioni d’aiuto (helping profession), in concomitanza con alti carichi di lavoro, scarsa autonomia decisionale, poca meritocrazia in merito alle competenze e conoscenze, mobbing, pochi contatti sociali con persone estranee al proprio ambito, rischi per salute e sicurezza con l’aggiunta di una paga inadeguata”.

È questo quanto affermava Giuseppe Paradiso, Segretario nazionale del PSD, circa un mese fa in relazione al numero elevato di suicidi tra le forze dell’ordine, nelle quali aleggia il fantasma del mobbing. Fantasma perché spesso per questioni di immagini viene occultato. Un fenomeno non di certo recente, visto che già nel 2004 erano state sollevate discussioni in proposito, in quanto nei cinque anni precedenti si erano registrati circa 250 suicidi.

E solo pochi giorni fa un altro caso, quello del capitano del ruolo speciale Giuseppe Panarello, addetto alla Sezione Anticrimine Carabinieri di Brescia, che si è sparato con la pistola di ordinanza al petto.

Un allarme, quello del mobbing nelle forze dell’ordine, spesso inascoltato o volutamente nascosto per non macchiare la facciata di integrità e sobrietà che le riveste. A niente, dunque, è servita la conferenza sul mobbing, svoltasi alla Camera dei deputati il 23 gennaio e a niente servono i dati preoccupanti su questo fenomeno. Se poi aggiungiamo la chiusura di diversi centri antimobbing in diverse città e la reticenza da parte delle stesse vittime ad esternare il problema, ci si rende conto di quanto questo fenomeno sia pericoloso e di quali gravi conseguenze possa avere sulla salute mentale dei singoli e sul tessuto sociale.

Il mobbing che può essere “verticale” (nel caso in cui sia il capo ad accanirsi contro un suo sottoposto) o “orizzontale” (quando è il gruppo che agisce contro un collega), ha mostrato un aumento in Italia negli ultimi anni: sarebbero circa 1 milione e mezzo di persone ad esserne colpite, soprattutto donne sopra i 35 anni occupate nel settore pubblico.

Il problema, quindi, richiede una più ampia ed effettiva presa di coscienza da parte delle istituzione che devono mettere a disposizione delle vittime strumenti giuridici di difesa e strumenti per il supporto psicologico. Le vittime, dal canto loro, devono cercare di uscire dal velo omertoso dietro cui si nascondono e denunciare, magari facendosi aiutare da strumenti utili nel raccogliere le prove, come microregistratori o microspie ambientali per far ascoltare le conversazioni a terze persone (le forze dell’ordine per esempio) che possono venire in aiuto.

 

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